UN VIAGGIO ALLA CASA DI CARL GUSTAV JUNG
A volte, per trovare sé stessi, può essere utile fare un viaggio. Un “pellegrinaggio” in quei luoghi che per noi sono sacri. Quando parlo di luoghi sacri mi riferisco ad una visione soggettiva della sacralità. Ognuno di noi ha una visione diversa di quali possano essere questi luoghi ma ciò che li caratterizza è la possibilità di entrare in contatto con la nostra parte profonda. Riuscire a farlo può aumentare la consapevolezza di chi siamo e di dove vogliamo dirigere la nostra vita. Come ho già raccontato nella MIA STORIA link, avere incontrato gli scritti di Carl Gustav Jung è stato importante perché nella sua filosofia e psicologia ho trovato numerose conferme di pensieri e intuizioni che ho avuto sino dall’adolescenza. Da tempo pensavo di recarmi a visitare la sua casa di Bollingen, sul lago di Zurigo. Così nella primavera del 2018 trovai alcuni giorni di tempo per fare il mio viaggio. Arrivai al paese nel tardo pomeriggio del 29 aprile. Passai con l’auto sulla strada che costeggia il lago cercando la casa ma non la vidi. Così cercai un luogo in cui pernottare con l’idea di andarne alla ricerca il giorno seguente a piedi, percorrendo la strada sterrata che costeggia il lago, partendo dal villaggio di Bollingen. Il giorno seguente verso le 9.00 di una piacevole mattinata, nella quale il sole sorride tra qualche nuvola nel cielo, imboccai la stradina.

Non sapevo dove si trovasse esattamente la casa ma, in base alle descrizioni viste online, sapevo che doveva per forza trovarsi lungo questo sentiero. E qui accadde un episodio che Jung avrebbe definito di sincronicità. Infatti, in alcuni tratti del sentiero, la vista del lago era impedita da una fitta vegetazione. Percorsi tutta la strada in un senso e nell’altro due volte senza riuscire ad individuare la casa. Al ritorno, la seconda volta pensavo che era assurdo non riuscire a vedere un fabbricato la cui sagoma avevo ben presente. L’avevo visto in foto, anche se si trattava di immagini scattate dal lago, quindi da un punto di vista differente da quello in cui mi trovavo quel giorno. Incontrai diversi sportivi che correvano o che andavano in bici a cui, non so dire per quale motivo, non chiesi informazioni.
Stavo per tornare a Bollingen quando vidi due persone che camminavano nella mia direzione. Si trattava di una donna e di un ragazzo più giovane. Sentii la pulsione di chiedere a loro se sapessero dove si trovava la casa. Parlai in tedesco ma mi risposero in italiano. Erano venuti dall’Italia apposta per recarsi alla casa di Jung di cui, per altro, conoscevano già l’ubicazione.
Fu così che mi unii a loro e arrivammo al semplice cancelletto dal quale si accedeva al parco e fu a quel punto che vidi tra gli alberi una delle torri che spuntava.

Giungendo alla casa attraverso il parco da est, mi resi conto che era più piccola di quanto immaginassi. Aveva la forma di un antico castello delle fiabe in mezzo ad un bosco che si affacciava sul lago. C’era una pace tutto intorno e la tiepida mattinata di fine aprile rendeva l’esperienza ancora più piacevole.


Percorremmo la casa girandole intorno da est verso ovest e ci trovammo davanti all’altro ingresso.




Il portone era aperto e si potevano udire delle voci all’interno. Mentre ci avvicinamo mi dissero che, in realtà, la casa era privata e non era adibita a museo. Proprio in quell’istante un ragazzo sbucò dal portone e disse buongiorno in inglese. Si trattava di un pronipote di Carl Gustav Jung. Ci disse, appunto, che la casa era privata ma dopo un cortese scambio di convenevoli, durante il quale manifestammo il desiderio di fare una visita, ci fece entrare.
Era un gruppo di ragazzi in vacanza nella casa del loro prozio e Padre della Psicologia Analitica. Stavano vivendo quel luogo con la filosofia del loro lontano parente che aveva voluto e costruito, con le sue mani, questo castello in riva al lago, con l’intento di effettuare una ricerca interiore di ARCAICA AUTENTICITÀ.
Lo Psichiatra svizzero viveva, con la famiglia, in un’altra casa nei pressi di Zurigo e, nel corso della sua esistenza volle costruire questa dimora per ripercorrere e ritrovare la parte di sé più legata al suo inconscio. Iniziò costruendo una torre, alla quale, negli anni aggiunse altre parti per ospitare tutta la famiglia. Il filosofo giungeva alla torre via lago veleggiando su piccole barche e viveva senza corrente elettrica cercando di entrare in contatto con la parte più profonda di sé. La ricerca in tal senso era spasmodica e costruì questa dimora per entrare in simbiosi con gli elementi. Infatti la struttura era orientata in modo tale da seguire la luce del sole al suo levare. La stanza da letto era volta verso est dove Carl Gustav veniva svegliato dalla luce dell’alba. La pianta circolare della torre stessa era strutturata in modo tale da seguire il sole nell’arco di tutta la giornata per ricevere i suoi raggi e lambire gli interni in funzione di un ritmo vitale che potesse seguire l’andamento universale degli elementi. Il Professore si dedicava personalmente alle “incombenze” quotidiane, spaccando la legna e cucinando. Assieme a questo scolpiva la pietra inserendo scritte in latino e figure mitologiche che la pietra stessa gli comunicava nel mentre che la scolpiva. Una simbiosi profonda, una sorta di scambio energetico e di coscienza con la pietra di cui lo stesso Carl Gustav si sentiva facente parte. Intorno alla torre la pace del lago da un lato e dall’altra un parco fitto di vegetazione.



Fu un’esperienza autentica e ci ospitarono cordialmente. Un ragazzo mi chiese se avremmo gradito un tè e lo preparò sul braciere. Mentre sorseggiavo la bevanda, fatta con una miscela proveniente dall’India, in una tazza in ceramica colorata, conversando con i pronipoti di Carl Gustav mi resi conto di quanto quest’esperienza fosse, per me, carica di significati profondi e caratterizzata da una grande pace interiore.

Ci spostammo fuori e rimanemmo un pò sull’approdo che vide Carl Gustav ormeggiare la sua vela, vicino al cubo di pietra che lo stesso Dottore scolpì con le sue mani. Il lago era calmo e i canneti fluttuavano dolcemente in uno sciabordio quasi impercettibile.


Carl Gustav spesso navigava sul lago di Zurigo e aveva l’abitudine di campeggiare su un isolotto dove, con la famiglia, trascorreva giornate a contatto con la natura e la sera, intorno al fuoco raccontava storie mitiche di tribù sperdute in angoli remoti della terra.


L’aspetto della ricerca dell’autenticità e della semplicità caratterizzò tutta la vita di Carl Gustav Jung. Assieme allo studio approfondito del significato archetipico della vita, Jung teorizzò l’esistenza dell’inconscio collettivo al quale ogni singolo individuo si riferisce, ma ribadì anche l’aspetto fondamentale del processo di individuazione, per il quale ogni persona ha il compito fondamentale di riuscire, nel corso della sua vita, a riconquistare sé stesso. In altre parole, il processo di individuazione sarebbe per Jung il fine stesso dell’esistenza. Si tratta di aspetti profondi che fanno parte di un’essenza vitale alla quale ognuno di noi è chiamato a riferirsi al fine di sviluppare la propria personalità individuale. Differenziarsi dagli altri, diventando unici, è qualcosa che ognuno di noi sarebbe predisposto a fare, appunto, per individuare sé stesso. Se questo, in un percorso di vita, non avviene o avviene in modo fuorviante, potrebbe causare un disagio esistenziale il cui fine consiste nel riportare la persona entro le dimensioni del percorso legato ai suoi valori più profondi.
Questo lavoro di individuazione fu vissuto da Carl Gustav Jung in prima persona. Infatti nelle numerose sue opere, oltre a scrivere, egli disegnava mandala, scolpiva la pietra e costruiva con le sue stesse mani il suo rifugio arcaico al fine di estrinsecare ciò che di più profondo albergava in sé stesso. Jung attuò un processo per DIVENTARE CONSAPEVOLE di tutto ciò che la parte più profonda di sé stesso gli voleva comunicare sull’esistenza. Tutto questo era palpabile e, visitando la casa di Bollingen, ebbi l’onore di poter accedere e di comprendere meglio la parte intima del pensatore grazie ai suoi discendenti.
Mi accompagnarono al piano superiore della torre dove si trovava ancora il suo letto originale e il mandala che disegnò con le sue mani sulla parete a ridosso del letto stesso. Non mi è stato dato il permesso di fotografare questa stanza. In compenso ho potuto fotografare l’interno della torre al piano terreno dove si trovavano, ancora, moltissime suppellettili originali usate da Jung in persona.




Feci ancora qualche foto del cortile interno prima dei saluti e di uscire quel luogo magico. Questo, per me, fu una specie di “pellegrinaggio” nel quale ho vissuto un’esperienza fatta di sensazioni ed emozioni piacevoli e di realizzazione personale. Posso definire la visita alla casa di Carl Gustav Jung come un momento di consapevolezza. Una ulteriore presa di coscienza rispetto al mio percorso di vita link e alle cose in cui credo. Sto parlando dei pensieri che mi hanno pervaso fin dall’infanzia, passando per l’adolescenza. La conferma, per me, inequivocabile dell’importanza della ricerca di quella profondità di pensiero che coglie significato dal tutto universale e che si trasforma in aspettative, speranze e sogni. Si tratta di componenti essenziali del BENESSERE che fondano i loro presupposti sulla CONSAPEVOLEZZA. Preziosi momenti che possiamo definire come tasselli di un mosaico esistenziale. Momenti di vita che possono sincronizzarsi in un ritmo più ampio inserendosi in un contesto, appunto, di appartenenza universale. O meglio, riferendomi a Carl Gustav Jung, un passo in più verso il mio percorso di individuazione.



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